Prima parte: il conflitto nella società di massa
Tom Nichols, politologo dell’università americana di Harvard, nel 2018 ha pubblicato il saggio La conoscenza e i suoi nemici, la cui tesi è questa: nell’era dei social si è orgogliosi di non avere la conoscenza delle cose, fino al punto di arrivare a considerare l’ignoranza motivo di vanto o virtù.
Una tesi forte e discutibile, che viene dimostrata in 255 pagine appassionate, partendo da una preoccupazione espressa nell’introduzione:
“…ho scritto questo libro perché sono preoccupato. Non ci sono più dibattiti informati su questioni di principio. Il sapere di base dell’americano medio è ormai talmente basso da essere crollato prima al livello di “disinformazione”, superando nello slancio la “cattiva informazione”, e ora sta sprofondando nella categoria “errore aggressivo”. La gente non solo crede alle sciocchezze, si oppone anche attivamente a imparare di più, pur di non abbandonare le proprie errate convinzioni”, […] “oggi a colpirmi non è tanto il fatto che la gente rifiuti la competenza, ma che lo faccia con tanta frequenza e su così tante questioni, e con una tale rabbia. Di nuovo, forse gli attacchi alla competenza sono più evidenti per via dell’onnipresenza di internet, dell’indisciplina che governa le conversazioni sui social media o delle sollecitazioni poste dal ciclo di notizie ventiquattr’ore su ventiquattro. Ma l’arroganza e la ferocia di questo nuovo rifiuto della competenza indicano, almeno per me, che il punto non è più non fidarsi di qualcosa, metterla in discussione o cercare alternative: è una miscela di narcisismo e disprezzo per il sapere specialistico, come se quest’ultimo fosse una specie di esercizio di autorealizzazione. Ciò rende molto più difficile per gli esperti ribattere e convincere la gente a ragionare. A prescindere dall’argomento, la discussione viene sempre rovinata da un rabbioso egocentrismo e termina senza che nessuno abbia cambiato posizione, a volte con la compromissione di relazioni professionali o perfino di amicizie…”.
Questi pensieri sono esperienze che già viviamo nel nostro interagire quotidiano con i social e nelle discussioni con amici. Così enunciati tuttavia dimostrano tutta la loro forza, a partire dal primo esempio che Nichols fornisce sulla messa in discussione della competenza, quando l’HIV era il virus dello stigma e della condanna:
“…All’inizio degli anni Novanta, un piccolo gruppo di “negazionisti dell’Aids”, tra cui Peter Duesberg, un professore della University of California, si schierò contro la posizione – pressoché unanime all’interno dell’establishment medico – secondo cui il virus di immunodeficienza umano (HIV) era la causa della Sindrome di immunodeficienza acquisita (Aids). La scienza prospera grazie a queste sfide controintuitive, ma nessuna prova sosteneva le convinzioni di Duesberg, che si rivelarono prive di fondamento. Una volta che i ricercatori ebbero scoperto l’HIV, medici e operatori sanitari furono in grado di salvare innumerevoli vite attraverso misure mirate a prevenirne la trasmissione.
La vicenda di Duesberg sarebbe potuta finire come qualunque altra teoria bislacca smentita dalla ricerca. La storia della scienza è disseminata di simili vicoli ciechi. In questo caso, però, un’idea screditata riuscì comunque a catturare l’attenzione di un leader nazionale, con risultati letali. Thabo Mbeki, allora presidente del Sudafrica, sfruttò l’idea che l’Aids non fosse causato da un virus ma da altri fattori, quali malnutrizione e cattive condizioni sanitarie, e rifiutò i medicinali e le altre forme di assistenza che venivano offerte al Paese per combattere l’infezione da HIV. A metà degli anni Zero, il suo governo cedette, ma ormai l’ossessivo atteggiamento negazionista di Mbeki nei confronti dell’Aids era costato, secondo le stime dei medici della Harvard School of Public Health, ben oltre trecentomila vite e l’infezione di circa trentacinquemila bambini positivi all’HIV alla nascita, che si sarebbe potuta evitare…”.
Possiamo subito cogliere le somiglianze con le recenti campagne NO-VAX , ma per l’autore non è solo l’ignoranza a mettere in discussione la competenza degli esperti ma un atteggiamento, una predisposizione che potrebbe essere spiegata con il narcisismo, come una personale insofferenza alle due variabili che hanno permesso di evolverci nel tempo come umanità: la scienza e la razionalità.
Lo specifica meglio con queste parole:
“…Gli americani ormai credono che avere diritti uguali in un sistema politico significhi anche che l’opinione di ciascuno su qualsiasi argomento debba essere accettata alla pari di quella di chiunque altro.
Moltissime persone ne sono convinte, nonostante si tratti di un’evidente assurdità. È una rivendicazione categorica di uguaglianza che è sempre illogica, talvolta divertente e spesso pericolosa. Questo libro, dunque, parla di competenza. O, per essere più precisi, del rapporto tra esperti e cittadini in una democrazia, del perché questa relazione sta andando in frantumi e di ciò che tutti noi, cittadini ed esperti, potremmo fare a riguardo…”.
Nichols esclude una esclusiva responsabilità di Internet. Già in passato la messa in discussione della competenza prendeva forza con i nuovi medium di massa: la televisione, la radio, la stampa. La vera variabile che ha ridefinito equilibri è stata, invece, la partecipazione di massa nella vita pubblica iniziata all’inizio del ventesimo secolo e che ha permesso di modificare i rapporti sociali, aumentando la conoscenza diffusa, senza però aumentare, osserva l’autore, il rispetto per il sapere anzi con
“… il diffondersi tra gli americani di una convinzione irrazionale secondo cui tutti sono altrettanto intelligenti di chiunque altro. Questo è l’opposto dell’istruzione, il cui obiettivo dovrebbe essere che le persone, non importa quanto siano intelligenti o abili, apprendano per tutta la vita. Invece ormai viviamo in una società dove l’acquisizione di un sapere anche minimo è il punto di arrivo dell’istruzione, anziché l’inizio. E questa è una cosa pericolosa…”
A cosa servono quindi l’istruzione, la specializzazione dei saperi, il ruolo degliesperti? Servono a far funzionare una società moderna e Nichols lo precisa:
“… Anche se c’è stato un tempo in cui ogni colono abbatteva gli alberi necessari a costruirsi da solo la propria casa, questa pratica non soltanto era inefficiente, ma produceva alloggi rudimentali.
C’è un motivo se non facciamo più le cose a quel modo.
Quando costruiamo grattacieli, non ci aspettiamo che il metallurgista in grado di realizzare una trave, l’architetto che progetta l’edificio e il vetraio che installa le finestre siano la stessa persona. È per questo che possiamo goderci la vista della città dal centesimo piano: ogni esperto, pur possedendo conoscenze che in parte si sovrappongono, rispetta le capacità professionali di molti altri specialisti e si concentra su ciò che sa fare meglio. La fiducia e la collaborazione tra gli esperti portano a un risultato finale superiore a quello di qualsiasi prodotto che avrebbero potuto realizzare da soli.
La verità è che non possiamo funzionare se non ammettiamo i limiti del nostro sapere e non ci fidiamo delle competenze altrui…”
L’importanza della conoscenza, del rapporto di fiducia tra saperi può essere minato dalla diffidenza delle persone e Internet non aiuta: le sue immense disponibilità permettono di ascoltare tutto, anche quelle cattive informazioni che minano il rapporto di fiducia tra esperti e tra esperti e popolazione, creando un conflitto inevitabile.
“…Tutte le società, a prescindere dal loro livello di avanzamento, hanno un sottofondo di risentimento contro le élite istruite e un persistente attaccamento culturale nei confronti della saggezza popolare, delle leggende metropolitane e di altre reazioni umane, irrazionali ma normali, di fronte alla complessità e alla confusione della vita moderna. Le democrazie, con i loro rumorosi spazi pubblici, sono sempre state particolarmente propense a sfidare i saperi consolidati. In realtà, sono inclini a mettere in discussione qualsiasi cosa sia consolidata: è una delle caratteristiche che le rende “democratiche” …”
Questo conflitto tra élite e popolazione si intreccia con le forme di rappresentanza, e paradossalmente è proprio la democrazia proprio che facilita la messa in discussione del ruolo intellettuale come espressione di libertà.
Al riguardo Nichols cita José Ortega Y Gasset e la sua Ribellione delle masse:
“…Forse sono in errore; però lo scrittore, nel prendere la penna per scrivere intorno a un tema che ha studiato a lungo, deve pensare che il lettore medio, il quale non si è occupato mai dell’argomento, se lo legge, non lo fa col proposito d’apprendere qualcosa da lui, ma al contrario, per sentenziare su di lui quando il pensiero non coincide con le volgarità che questo lettore ospita nella mente…”
Ecco spiegata l’insofferenza che proviamo verso ciò che contraddice le nostre convinzioni, verso chi ci argomenta che siamo in errore.
L’avanzamento tecnologico e lo sviluppo sociale aumentano la dipendenza dai saperi specializzati, ma contemporaneamente la società di massa apre spazi per un pensiero autonomo in conflitto con l’autorità intellettuale, creando una divaricazione tra chi vuole rimanere nelle proprie ragioni e chi con la ragione cerca una spiegazione.
La differenza non è da poco.
Scriveva Richard Hofstader già negli anni 60: “…la complessità della vita moderna ha ridotto continuamente le funzioni che il cittadino comune, con l’intuito e con l’intelligenza, può assolvere da sé… Una volta si derideva bonariamente l’intellettuale perché non se ne aveva bisogno; oggi lo si avversa fieramente perché se ne ha troppo bisogno…”;
Nichols così spiega la fine della competenza:
“…Nel caso dei vaccini, per esempio, la scarsa partecipazione ai programmi di vaccinazione infantile in realtà non è un problema che riguarda le madri di provincia poco scolarizzate. Quelle madri devono accettare di vaccinare i loro figli, perché è un requisito obbligatorio delle scuole pubbliche. I genitori più propensi a opporre resistenza ai vaccini, si è scoperto, si trovano tra gli istruiti residenti delle ricche aree periferiche di San Francisco, nella contea di Marin.
Pur non essendo medici, queste madri e questi padri sono abbastanza istruiti da credere di possedere una formazione di base sufficiente a sfidare la scienza medica consolidata. Quindi, per un paradosso controintuitivo, i genitori istruiti stanno effettivamente prendendo decisioni peggiori rispetto a quelli di gran lunga meno istruiti, e stanno mettendo a rischio i figli di tutti…”
In questi anni abbiamo verificato questa considerazione anche noi in Europa, soprattutto in Italia, dove si fa sentire un vivace movimento contro i vaccini.
Dall’America Nichols ci racconta del movimento del latte crudo attivo contro la pastorizzazione del prodotto, per riportarlo al sapore originale, con la convinzione che sia anche più salutare. A nulla sono serviti gli allarmi dei medici sull’uso di questo latte non filtrato dagli agenti potenzialmente pericolosi: i rapporti che hanno definito il consumo di questo latte alla stregua della roulette russa non hanno avuto effetti sulle convinzioni radicate del movimento.
Questo successo del contro sapere fa perno anche su quelli che sono gli errori degli esperti avvenuti nel passato o nello stesso presente: potremmo definirla come la crepa che apre la voragine, trovando poi quel pretesto oratorio che mette tutto in discussione.
“… Alla base di tutto questo c’è l’incapacità da parte dei profani di capire che un errore commesso ogni tanto dagli esperti su questioni specifiche non implica affatto che gli esperti si sbaglino sistematicamente su tutto. Il punto è che gli esperti hanno ragione più spesso di quanto si sbaglino, soprattutto sulle questioni essenziali. Eppure, l’opinione pubblica cerca costantemente scappatoie e falle nel sapere degli esperti per poter ignorare tutti i consigli specialistici sgraditi.
In parte, la ragione è che la natura umana, come vedremo, tende a cercare
scappatoie dappertutto. Ma un fattore altrettanto importante, se non di più, è che quando gli esperti e i professionisti sbagliano le conseguenze possono essere catastrofiche…”
Quali sono, allora, gli attori protagonisti di questo declino della competenza?
Nichols identifica negli “elettori a basso tasso di informazione” coloro che mettono in discussione ragione e torto, non accettando correzioni o lasciando che qualunque opinione, anche la più insensata, diventi disponibile e collocabile allo stesso livello di quella riconosciuta esperta o scientifica.
I numeri, le informazioni di base, le conoscenze indispensabili non vengono considerate dall’elettore a basso tasso di informazione e producono vere e proprie alterazioni della verità, ben radicate nella società americana, con tutti i possibili confronti con la nostra:
“…pensiamo agli aiuti all’estero. Si tratta di un argomento sensibile per alcuni americani, secondo i quali rappresentano uno spreco di denaro. Gli americani abitualmente ritengono, in media, che più del 25 per cento della spesa pubblica nazionale sia generosamente elargita come forma di aiuto a Paesi stranieri. In realtà, questa stima non è solo inesatta, ma macroscopicamente sbagliata: gli aiuti all’estero rappresentano una piccola parte del bilancio, meno di tre quarti dell’un per cento della spesa totale degli Stati Uniti d’America. Solo il 5 per cento degli americani lo sa.
Un americano su dieci, invece, è convinto che più di metà del bilancio statunitense, cioè diverse migliaia di miliardi di dollari, venga distribuito ogni anno ad altri Paesi.Molti pensano che, al di là del suo valore, questa cifra sia pagata con un assegno che vale moneta sonante. Anche questo è sbagliato. Gli aiuti all’estero, infatti, potrebbero addirittura rientrare nel piano per l’occupazione, dato che in gran parte sono elargiti sotto forma di beni, che si tratti di cibo o di aeromobili militari, prodotti da americani e acquistati dal governo americano per poi essere inviati ad altre nazioni.
Affermare che gli aiuti all’estero siano uno spreco di denaro è una posizione politica comprensibile. Io e altri esperti potremmo dire che un’obiezione così generalizzata è ingiusta, ma almeno è una posizione basata su un principio piuttosto che su un errore di fatto. Opporsi agli aiuti all’estero a causa dell’errata convinzione che costituiscano un quarto del bilancio statunitense, però, stronca immediatamente sul nascere qualsiasi possibilità di discussione ragionevole…”
Discussione ragionevole che dovrebbe essere guidata dai già citati esperti quali figure oggetto di interesse del libro e sulle quali occorre una riflessione.
Nichols ritiene quella di esperto sia un’etichetta abusata. Molti si autoidentificano in questo ruolo: “…coloro che si proclamano esperti hanno la stessa consapevolezza di sé di quelli che pensano di saper baciare bene…”. Per l’autore invece l’esperto è chi ha come occupazione principale una professione che richiede particolari competenze e conoscenze: l’atleta professionista e non il giocatore occasionale; l’idraulico di professione e non lo zio che ripara il rubinetto; l’avvocato e non il tuttologo di diritto; il medico abilitato alla fine del suo percorso accademico e non il vicino di casa che ti fa la sua diagnosi sul tuo malessere.
Sembrano affermazioni banali, ma in realtà non lo sono.
“…La formazione o l’istruzione formale sono il segno più evidente dello status di esperto e il più facile da identificare, ma questo è solo il primo passo. Per accedere a molte professioni sono necessarie qualifiche: gli insegnanti, gli infermieri e gli idraulici devono avere una certificazione di qualche tipo per esercitare le proprie capacità, e indicare agli altri che esse sono state esaminate dai loro pari e soddisfano uno standard minimo di competenza. Se alcuni degli avversari più agguerriti del sapere costituito deridono questo sistema e lo bollano come “credenzialismo”, questi titoli e licenze sono segni tangibili dei risultati ottenuti e importanti marcatori che ci aiutano a distinguere i semplici appassionati (o i ciarlatani) dai veri esperti…”
L’autore precisa che in alcuni casi queste certificazioni arricchiscono chi le rilascia, ma sono indispensabili nella nostra società specializzata.
Il resto lo fa l’esperienza e l’affermazione professionale, anche se non è il tempo accumulato nel proprio sapere che certifica le proprie capacità.
L’autoformazione ha un suo spazio, ma non avrà mai i numeri di chi produce, offre formazione di alta qualità.
Nichols al riguardo chiarisce cosa distingue un esperto da una persona formata e titolata.
“…Una differenza è la predisposizione o il talento naturale. Il talento è indispensabile per un esperto (come disse una volta Ernest Hemingway parlando di scrittura: “Una delle due doti assolutamente necessarie per la scrittura è la serietà assoluta. L’altra, purtroppo, è il talento”). Una persona che ha studiato Chaucer al college ne sa molto di più di letteratura inglese rispetto agli altri, almeno su un piano puramente nozionistico. Ma lo studioso che ha un vero talento per lo studio della letteratura medievale non solo ne sa di più, sa anche spiegarlo coerentemente e magari può anche generare nuove conoscenze sul tema. Il talento distingue coloro che hanno semplicemente ottenuto una qualifica da chi possiede una sensibilità più profonda o una comprensione maggiore della propria area di competenza. In ogni campo di studio c’è qualcuno che consegue risultati brillanti e che, a quanto pare, non riesce altrettanto bene nel lavoro…”
Un esperto deve avere quindi caratteristiche speciali, privilegiate rispetto ad un titolato, e nonostante questo può cadere in errore.
Lo ribadisce Nichols con questo passaggio che chiude la prima parte di questa riflessione che ripartirà proprio dalla chiosa dell’ultima frase:
“…Uno dei motivi fondamentali per cui gli esperti e i profani hanno sempre scatenato la reciproca irritazione è che sono tutti esseri umani. Ovvero hanno tutti problemi analoghi nell’assorbimento e nell’interpretazione delle informazioni. Anche le persone più istruite possono commettere errori di ragionamento elementari, mentre quelle meno intelligenti sono inclini a ignorare i limiti delle proprie capacità. Esperti o profani, i nostri cervelli funzionano (o talvolta non funzionano) in modo simile: sentiamo le cose nel modo in cui vogliamo ascoltarle e rifiutiamo i fatti che non ci piacciono…”
Come si è detto, il conflitto è inevitabile.