Un’analisi della Società Italiana di Scienza Politica e alcune nostre riflessioni
Premessa
Com’è noto, con il ballottaggio del 26 febbraio si sono concluse le primarie del Partito Democratico. Ballottaggio aperto agli elettori di centro sinistra tra due candidati precedentemente scelti dagli iscritti fra una rosa più ampia.
Per analizzare questa votazione abbiamo fatto riferimento al lavoro della Società Italiana di Scienza Politica, che ha messo in piedi un gruppo di lavoro dedicato composto da accademici e ricercatori e prodotto uno studio, qui accessibile.
Ma facciamo un passo indietro.
Fin dalla nascita del PD, lo strumento delle primarie, allargato agli elettori che si autocertificano, è quello scelto per eleggere il segretario del partito, che per statuto è anche il candidato alla carica di Presidente di Consiglio, o meglio è la figura di riferimento per quella quella carica da offrire al Presidente della Repubblica nel caso il PD, da solo o in coalizione, vincesse le elezioni.
Non è stato un metodo esente da critiche. Fortemente voluto da Veltroni, che ha sempre sostenuto la teoria della vocazione maggioritaria – che presuppone un partito in grado di raggiungere il maggior numero di consensi dalla propria area offrendo a questa stessa area la possibilità di scegliere il leader – questo metodo non ha mai suscitato le simpatie della sinistra più o meno identitaria del partito, che avrebbe preferito scegliere il segretario all’interno degli iscritti.
Pur non essendoci mai stata a livello nazionale una vera e propria iniziativa per modificare in tal senso lo statuto, alcuni circoli del PD hanno presentato delle mozioni per richiedere tale modifica. Un esempio per tutti, dopo le disastrose elezione del 2018, il circolo di San Mauro Torinese ha votato a larghissima maggioranza (due soli contrari) una risoluzione per impegnare il PD in tal senso.
Se avessero prevalso quelle richieste, è ovvio che il PD oggi avrebbe un’altra fisionomia e un differente segretario.
In questo grafico possiamo vedere la tendenza generale del voto delle primarie.
Tra il 2007, anno in cui Veltroni fu eletto segretario del nuovo partito, e il 2023 dell’era Schlein il PD ha visto ridotto di circa il 70% il numero di persone che si sono avvicinate ai gazebo per votare. La caduta di interesse è stata del 30% tra il 2019, segretario Zingaretti, e quest’anno.
In questa tabella, invece, ci sono i dettagli dei vari competitori di tutte le primarie.
Da questi dati emerge che, tolto Veltroni che di fatto fu il leader che insieme a Prodi più credette in questo progetto di partito, le affermazioni più importanti furono quelle di Renzi nelle due primarie in cui partecipò. La vittoria di Schlein è simile in termini di consenso a quella di Bersani, che tuttavia non fu eletto in un ballottaggio ma in una competizione a tre.
Lo studio di SISP
Veniamo allo studio. Riproponiamo i vari capitoli con una brevissima sintesi, rimandando alla lettura completa del report per chi lo volesse maggiormente approfondire
Età (pag. 5)
Giovani e coorte di mezzo (dai 16 ai 44 anni) arrivano insieme al 23% dei partecipanti, due punti percentuali in meno del 2019. Sia per Schlein che per Bonaccini la maggioranza dei voti arriva da un elettorato con più di 55 anni. Tuttavia, Schlein ha un maggior numero di giovani rispetto al proprio competitor.
Genere (pag. 7)
Se in generale hanno votato più uomini che donne, Schlein è stata scelta da una percentuale di donne maggiore.
Titolo di studio (pag. 9)
Il 44% degli elettori ha una laurea, confermando la tendenza in crescita degli anni passati. Schlein ha un maggior numero di elettori laureati. Si nota tuttavia una difficoltà del partito ad ottenere consensi e voti fra i ceti meno istruiti e, forse per conseguenza, tra quelli più poveri.
La collocazione politica dei votanti e interesse per la politica (pag. 11)
Per quanto la collocazione politica – SX CSX CDX DX – sia una categoria a nostro pare piuttosto sfumata, l’elettorato Sclhein si colloca maggiormente a sinistra rispetto a quello di Bonaccini, mentre i due elettorati si caratterizzano entrambi per un alto interesse nei confronti della politica.
Partecipazione alle precedenti primarie e iscrizione al PD (pag. 15)
Il 14% degli elettori Schlein contro il 10% degli elettori Bonaccini hanno partecipato alle primarie per la prima volta. Significativo ma non determinante.
Questo dato andrebbe incrociato con il dato degli elettori iscritti, che sono il 22% per Schlein e il 34% per Bonaccini: una delle differenze più significative.
Il fenomeno migratorio (pag. 19)
In sintesi, si può affermare che gli elettori Schlein hanno un “orientamento più deontologico” mentre quelli Bonaccini “più pragmatico”.
In un’analisi su scala 7, sommando le ultime due (più favorevoli ad allargare l’accoglienza), gli elettori Schlein sono il 66%, contro il 45% di quelli di Bonaccini.
Motivazione per la scelta del candidato (pag. 21)
Interessante la differenza fra i due candidati. Molto identitaria la scelta per Schlein: il 43% dei suoi elettori si sentono politicamente rappresentati contro il solo 28% degli elettori dell’avversario. Una scelta più orientata al governo quella per Bonaccini: il 41% lo sceglie per le sue caratteristiche personali (25%) e la possibilità di vincere le elezioni (16%), contro il 33% degli elettori di Schlein.
Lealtà e defezione degli sconfitti (pag. 23)
In caso di sconfitta del proprio candidato, il 73% degli elettori di Bonaccini avrebbe comunque votato PD, contro il solo 59% degli elettori di Schlein
Alcune brevi riflessioni
Pur senza entrare in valutazioni sulle qualità di leadership della vincitrice e nella bontà della sua offerta politica, proviamo ad elencare alcune sfide che dovrà affrontare.
Le correnti PD. Nella campagna elettorale molto si è detto riguardo a questo aspetto. Entrambi i competitori ne hanno messo in luce gli aspetti negativi, emerge una volontà da parte di Schlein di superare il modello di partito a correnti. Tuttavia, se per ridisegnare un nuovo partito basta un formale accordo tra le parti e uno statuto che ostacoli la formazione di correnti organizzate, quello di cui non si tiene conto è la pratica politica di questi anni, una pratica che non ha coinvolto solo i vertici delle correnti, che nella gerarchia più bassa sono chiamati anche capibastone, ma sostanzialmente la quasi totalità degli iscritti. Aderire ad una corrente non è un obbligo, è una scelta, come è una scelta approvare le affermazioni del proprio leader di corrente, indipendentemente se le si condivide nel profondo o meno. Quindi Schlein più che un PD differente, dovrà plasmare un corpo di militanti e simpatizzanti differente, persone mature che dovranno giudicare l’offerta politica e non semplicemente approvare quella del leader di turno. Una sfida ben più difficile.
Programmi o progetti, slogan o piani di lavoro? La sinistra è riconoscibile da alcune parole chiave riproposte con forza nei momenti elettorali: lavoro, occupazione, solidarietà, immigrazione, salario minimo scuola e sanità pubblica. Anche se destinato ad un periodo più o meno lungo di opposizione, il PD di Schlein dovrà uscire dalla semplice logica rivendicativa ed affrontare la strada faticosa dello studio delle compatibilità di sistema oppure quello dei costi del superamento di un sistema, studi corredati da piani di lavoro e recupero di risorse. In parole povere occorre descrivere come realizzare le politiche, ben sapendo che le risorse non sono infinite, tanto meno quelle di una società a forte trazione pubblica, e aumentare le spese in un settore significa sempre diminuirle in un altro.
Elettorato. La vera sfida di Schlein e di un PD maturo non è solo e tanto quella di aumentare consensi e voti, ma principalmente quella di far tornare la gente a votare. Questo significa comprendere, e di nuovo torniamo allo studio, la ragioni profonde del disagio degli elettori, essere promotori di un cambio culturale, utilizzare le armi della democrazia per consentire la partecipazione, battersi per la diffusione dei più ampi diritti, farsi portavoce delle libertà individuali.